Levothyroxine requirement in congenital hypothyroidism: a 12-year longitudinal study
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L'Endocrine Society, l'American Thyroid Association (ATA) e l'American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) sono concordi nel definire l'ipotiroidismo subclinico come una condizione caratterizzata da una concentrazione sierica di TSH persistentemente al di sopra del limite superiore della norma in presenza di una normale concentrazione sierica della frazione libera di T4 (FT4).1 Sulla base di questa definizione può apparire più adeguata l'espressione hypotiroidism with elevated TSH only (HET) rispetto a quella di ipotiroidismo subclinico per indicare questa particolare condizione patologica. Poiché i livelli sierici di TSH sono soggetti a oscillazioni nel tempo, talora è possibile il riscontro di valori anormali in soggetti sani. Per tale motivo, è indicato ripetere il dosaggio del TSH sierico e del FT4 4-8 settimane dopo il primo esame per escludere la possibilità di falsi positivi e di una forma transitoria di ipotiroidismo subclinico.2
La prevalenza di HET nella popolazione generale è compresa tra il 4% e il 10% e negli anziani è del 7-26%;2 negli Stati Uniti ne sono affetti 10 milioni di persone. La prevalenza è maggiore nelle donne anziane:3 colpisce infatti più frequentemente le femmine rispetto ai maschi e raggiunge l'11,6% nelle donne al di sopra di 60 anni. Inoltre, è maggiore tra i soggetti con anamnesi positiva per malattie autoimmuni, soprattutto da diabete mellito di tipo 1, rispetto alla popolazione generale. Il 2-5% dei pazienti con HET sviluppa un ipotiroidismo franco nell'arco di un anno. Il tasso di progressione è proporzionale alla concentrazione sierica di TSH ed è maggiore nei pazienti con un elevato titolo di anticorpi antitiroide.2 Da uno studio prospettico a lungo termine (periodo medio di osservazione 9,2 anni) di Huber et al.,3 il cui scopo era analizzare il decorso spontaneo dell'ipotiroidismo subclinico, la concentrazione sierica di TSH è risultata il più importante fattore predittivo per l'evoluzione della HET a ipotiroidismo franco. È stata inoltre dimostrata una correlazione diretta tra probabilità di evoluzione della HET a ipotiroidismo franco e l'ipoecogenicità della tiroide all'ecografia.2 Marcocci et al.4 hanno condotto uno studio basato sull'esame ecografico della tiroide in 1184 soggetti. Nel 18,5% di questi il quadro ecografico è risultato compatibile con la diagnosi di tiroidite autoimmune (AIT). Dallo studio è emersa una correlazione significativa tra il grado di ipoecogenicità della ghiandola agli ultrasuoni e i livelli circolanti degli autoanticorpi antitiroide. In alcuni pazienti il pattern ipoecogeno all'esame ecografico è risultato un fattore predittivo dello sviluppo di un ipotiroidismo franco.4
La causa in assoluto più frequente di HET (50-80% di tutti i casi) è la tiroidite cronica autoimmune (AIT),2 che interessa il 10% della popolazione femminile e il 2% della popolazione maschile.5 L'eziopatogenesi della tiroidite autoimmune è multifattoriale: intervengono infatti fattori genetici, fattori ambientali e fattori esogeni. Per quanto riguarda i fattori genetici, è stata riscontrata un'associazione con gli antigeni HLA-DR3, HLA-DR4 e HLA-DR5 e con il polimorfismo del promotore del gene che codifica per la proteina 4 dei linfociti T citotossici (CTLA4). L'innesco del processo infiammatorio in seno alla ghiandola tiroidea potrebbe essere legato, in soggetti geneticamente predisposti, a un eccesso di iodio, a farmaci che agiscono sul sistema immunitario e a infezioni virali.5 Anche il selenio assume un ruolo importante nell'insorgenza della malattia. In effetti, si è osservata una correlazione inversa tra i livelli plasmatici di selenio e l'incidenza di tiroidite autoimmune in regioni con lieve deficit di selenio.6 La carenza di selenio nella dieta quindi, potrebbe "innescare" e "mantenere" la tiroidite autoimmune in pazienti predisposti allo sviluppo della malattia.7
A conferma di ciò, è stato osservato che, nei topi, una grave insufficienza di selenio nella dieta si associa a un aumento della necrosi intraghiandolare e a una maggiore invasione macrofagica.8 Ciò è probabilmente legato a un'intensificazione del processo infiammatorio in seno alla tiroide conseguente alla riduzione dell'attività dell'enzima antiossidante selenio-dipendente GPx e alla mancanza dell'effetto immunomodulatore esercitato dal selenio.7
Dal punto di vista patogenetico, nella tiroidite autoimmune la distruzione del tessuto tiroideo è sostenuta sia da un'immunità cellulare sia da un'immunità umorale. Nel tessuto ghiandolare è presente un infiltrato linfoplasmocitario costituito da linfociti B e cellule T citotossiche presenti in eguale misura. I linfociti T attivati in seguito al contatto con un antigene specifico inducono le cellule B a produrre gli autoanticorpi anti-tireoperossidasi (TPO-Ab) e anti-tireoglubulina (Tg-Ab). Il danno a livello del tessuto tiroideo è dovuto all'infiltrato linfomonocitario in seno alla ghiandola.9
Quasi il 30% dei pazienti con HET lamenta segni e sintomi di ipotiroidismo, tra cui astenia, aumento ponderale, disturbi cognitivi, ansia e depressione. Inoltre, molti studi hanno dimostrato che l'ipotiroidismo subclinico costituisce un fattore di rischio per l'insorgenza di malattie cardiovascolari poiché colpisce sia direttamente sia indirettamente il sistema cardiovascolare,2 che rappresenta un bersaglio diretto dell'azione dell'ormone tiroideo ed è molto sensibile a piccole variazioni dei livelli ormonali circolanti.
I miociti e le cellule muscolari lisce dell'aorta e delle arterie coronarie contengono l'enzima 5'-monodeiodinasi che catalizza la deiodinazione del T4 a T3. La forma metabolicamente attiva dell'ormone tiroideo (FT3) modula l'espressione di proteine (le isoforme alfa e beta delle catene pesanti della miosina e la calcio-ATPasi del reticolo sarcoplasmatico) ed è implicata nell'espressione della Na/k-ATPasi, dello scambiatore Na/Ca e di alcuni canali del potassio che assumono un ruolo cruciale nell'attività fisiologica dei miociti. Il deterioramento della funzione diastolica rappresenta il più precoce evento nella cardiomiopatia correlata alla HET ed è dovuto a una ridotta attività della calcio-ATPasi del reticolo sarcoplasmatico, che media il trasporto del calcio dal citoplasma nel reticolo sarcoplasmatico durante la diastole.2 Inoltre, l'ipotiroidismo subclinico costituisce indirettamente un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari perché è responsabile di un aumento delle resistenze vascolari periferiche e di alterazioni dei lipidi sierici e del profilo emocoagulativo. La HET si associa infatti all'ipertensione arteriosa, soprattutto diastolica, a una disfunzione endoteliale dovuta a una ridotta produzione di ossido nitrico (NO) e a una maggiore rigidità della parete arteriosa. Inoltre, è stata riscontrata un'attività fibrinolitica significativamente inferiore nei soggetti affetti da HET, che suggerisce l'esistenza di uno stato ipercoagulativo nei pazienti con ipotiroidismo subclinico. Dal punto di vista fisiopatologico, le alterazioni del profilo lipidico che si osservano nei pazienti affetti da ipotiroidismo sono dovute a una riduzione del catabolismo delle LDL-C causato da un'alterazione di varie tappe implicate nella via metabolica dei lipidi. La tiroxina è responsabile di un incremento della clearance delle LDL attraverso un aumento dell'espressione dei recettori per le LDL. Diversi studi indicano la HET quale possibile causa di infertilità nelle donne e di aborti ricorrenti soprattutto nelle donne con positività dei TPO-Ab.2
Uno studio di Gerahad et al.10 del 1991 su 834 donne sterili ha rilevato la presenza di un disturbo della funzione tiroidea nel 20% delle donne. Casey et al.11 hanno sottoposto 25.756 donne gravide a uno screening per la valutazione della funzione tiroidea, nel 2,3% delle quali è stato diagnosticato un ipotiroidismo subclinico. Dallo studio è emerso che le donne gravide con HET avevano un rischio tre volte maggiore di distacco della placenta rispetto a quelle eutiroidee e il rischio di un parto pretermine era due volte maggiore nelle prime rispetto alle seconde. È stata inoltre dimostrata l'esistenza di una correlazione tra la presenza in circolo di anticorpi antitiroide e aborto spontaneo.2 Gli anticorpi antitiroide costituiscono quindi un fattore indipendente di gravidanza "a rischio".12 In uno studio di Prummel e Wiersinga13 del 2004 si è visto che altri fattori correlati all'aborto spontaneo nelle donne con positività dei TPO-Ab erano l'età più avanzata e una riduzione della riserva tiroidea, testimoniata da valori di TSH leggermente superiori rispetto a quelli delle gravide con anticorpi negativi. In un periodo come la gravidanza, in cui aumenta il fabbisogno di ormoni tiroidei da parte dell'organismo, è peraltro ben documentato che il riscontro di TPO-Ab all'inizio della gravidanza si associa a un maggiore rischio di insorgenza di HET e che il 50% circa delle donne gravide con TPO-Ab positivi sviluppa entro il primo anno dopo il parto una tiroidite post partum (PPT), che nel 40% dei casi esita in un ipotiroidismo permanente.14 Alcuni studi hanno suggerito, infine, che l'ipotiroidismo subclinico durante la gravidanza sia responsabile di uno sviluppo cognitivo subottimale nella prole.2
Per quanto riguarda la diagnosi di HET, l'ATA raccomanda uno screening basato sul dosaggio del TSH sia negli uomini sia nelle donne a partire dall'età di 35 anni ogni 5 anni. Una questione ancora aperta rimane quella relativa alla necessità dell'associazione del dosaggio del TSH plasmatico a quello dei TPO-Ab per lo screening e la diagnosi di HET nella popolazione. Numerose società, come l'AACE, la Royal College of Physician, l'ATA e l'Endocrine Society, suggeriscono, nella gestione dei pazienti con ipotiroidismo subclinico, il dosaggio dei TPO-Ab per due ordini di motivi: la loro positività costituisce un fattore predittivo per l'evoluzione a ipotiroidismo franco e la presenza in circolo di TPO-Ab costituisce una spia della possibile insorgenza di altre patologie autoimmuni, quali diabete mellito di tipo 1 e morbo di Addison.2
Un grande disaccordo esiste tra gli autori relativamente alla necessità di trattare o meno i soggetti affetti da HET. L'opinione generale è di iniziare la terapia sostitutiva con tiroxina (L-T4) solo quando i valori di TSH risultano superiori a 10 mUI/l. Papi et al.2 suggeriscono di intraprendere il trattamento ormonale sostitutivo in tutti i pazienti che abbiano livelli di TSH persistentemente elevati, ma inferiori a 10 mUI/l, in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: alti livelli di anticorpi antitiroide, pattern ipoecogeno della ghiandola tiroidea all'esame ecografico, infanzia, gravidanza, donne con persistente infertilità, gozzo nodulare o diffuso. Nelle donne gravide affette da HET, per il rischio di morte intrauterina e ritardo dello sviluppo cognitivo del feto, è raccomandato durante la gravidanza il trattamento sostitutivo con L-T4 o l'incremento della dose assunta qualora la donna fosse già in terapia con tiroxina.