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Selenio e funzione tiroidea: studi clinici

Se è ampiamente riconosciuta l'importanza del selenio per la normale funzione tiroidea e per l'omeostasi degli ormoni tiroidei,1 nell'ultimo decennio numerosi studi clinici hanno suggerito come il selenio possa avere un ruolo chiave nel mantenere il bilancio ossidativo della cellula tiroidea e nel migliorare le capacità di difesa della ghiandola anche nelle condizioni di stress ossidativo che si verificano nelle tireopatie autoimmuni (AIT). Tali studi sono stati condotti principalmente in alcune regioni europee caratterizzate da un lieve deficit del contenuto di selenio nel suolo (Figura 1).2

Figura 1 Figura 1

Nel 2002, Gärtner et al.3 hanno condotto uno studio prospettico, randomizzato, controllato su pazienti con tiroidite autoimmune provenienti dalla Germania. Sono state selezionate 70 donne con tiroidite autoimmune ed elevati livelli plasmatici di TPO-Ab e/o Tg-Ab. A 36 sono stati somministrati 200 μg/die di sodio-selenite, mentre 34 hanno ricevuto un placebo per tre mesi. Tutte le pazienti partecipanti allo studio erano in terapia ormonale sostitutiva con L-T4 a dosaggi tali da mantenere il TSH entro il range di normalità. Al momento dell'arruolamento, la media del titolo dei TPO-Ab era identica in entrambi i gruppi. A tre mesi dall'inizio dello studio, nel gruppo trattato con selenio si è osservata una significativa riduzione dei livelli dei TPO-Ab pari al 63,6% e si è registrato un miglioramento soggettivo dello stato di salute. Al contrario, nel gruppo placebo non sono stati riscontrati cambiamenti del titolo anticorpale durante il follow-up.3 Tredici soggetti degli iniziali 36 hanno continuato ad assumere selenio per altri sei mesi, con un'ulteriore significativa riduzione del titolo anticorpale, mentre un aumento della concentrazione sierica dei TPO-Ab è stata riscontrata nei 9 soggetti che avevano sospeso la terapia dopo tre mesi.4
A conferma di questi iniziali risultatati, Duntas et al.,5 utilizzando un protocollo simile a quello di Gärtner, hanno condotto uno studio su 65 pazienti con tiroidite autoimmune residenti nel Sud della Grecia. Trentaquattro soggetti sono stati trattati con 200 μg/die di seleniometionina (SeMe oppure SeMet) e terapia ormonale sostitutiva, mentre 31 hanno ricevuto solo L-T4. Nel gruppo trattato con selenio i TPO-Ab si sono ridotti in modo significativo (del 46% a tre mesi e del 55,5% a sei mesi). Al contrario, nel gruppo trattato solo con terapia ormonale sostitutiva si è registrata una riduzione del 21% dei livelli di TPO-Ab a tre mesi e del 27% a sei mesi.
Nello studio di Turker et al.6 condotto su 88 pazienti di sesso femminile con AIT provenienti dalla Turchia, è emerso come la SeMe, in associazione alla terapia sostitutiva con L-T4, fosse in grado di determinare una riduzione dei livelli dei TPO-Ab solo a dosi superiori a 100 μg/die. Infatti, mentre con dosi di selenio di 200 μg/die è stato riscontrato un calo anticorpale significativo (26% a tre mesi), con dosi inferiori (100 μg/die) è stato osservato un aumento, altrettanto significativo, dei TPO-Ab.

A differenza dei precedenti studi clinici in cui tutti i pazienti partecipanti erano in terapia ormonale sostitutiva, Mazokopakis7 ha arruolato nel suo studio 80 donne provenienti dalla Grecia affette da tiroidite autoimmune, alcune in trattamento con L-T4 e altre non in terapia ormonale sostitutiva (l'autore non specifica nel suo lavoro il numero dei pazienti non in terapia ormonale sostitutiva). Tutte le pazienti selezionate hanno ricevuto selenio in forma di SeMe, 200 μg/die, per sei mesi; nel secondo semestre solo una parte dei soggetti ha continuato ad assumere selenio. Lo studio ha evidenziato una significativa e costante riduzione dei livelli di TPO-Ab (-21%) nelle pazienti affette da tiroidite autoimmune trattate con selenio per 12 mesi, mentre un aumento del titolo anticorpale si è osservato a 12 mesi nelle pazienti che avevano sospeso il trattamento dopo sei mesi (+4,8%).
Da questi studi iniziali sembrerebbe che la riduzione del titolo dei TPO-Ab a breve termine richieda dosi di selenio superiori a 100 μg/die e che l'interruzione della terapia con selenio si accompagni a un rebound del titolo anticorpale.8 In contrasto con i risultati evidenziati da questi studi clinici, Karanikas9 non ha riscontrato, in 36 pazienti austriaci affetti da tiroidite autoimmune, una significativa riduzione del titolo dei TPO-Ab dopo tre mesi di terapia con 200 μg/die di sodio-selenite né differenze tra il gruppo trattato con selenio e il gruppo trattato con placebo. Il valore di selenemia dei pazienti arruolati in questi diversi studi era sostanzialmente simile,3,5,9 mentre i livelli di TPO-Ab al momento dell'arruolamento erano considerevolmente più elevati negli studi di Gärtner e Duntas.3,5 Sembrerebbe quindi che la riduzione dei TPO-Ab nei soggetti con AIT trattati con selenio sia tanto più marcata quanto più l'AIT è severa in termini di titolo anticorpale iniziale.8

Un trial successivo di Nacamulli et al.10 è stato condotto su una popolazione di 76 soggetti italiani iodio-sufficiente affetta da AIT ancora allo stadio subclinico (TSH <8 μUI/l con FT4 nella norma) e pertanto non in terapia ormonale sostitutiva. L'arruolamento di pazienti con AIT in fase iniziale e non in terapia con L-T4 rappresenta un elemento distintivo rispetto agli studi precedenti. Secondo alcuni autori la terapia con L-T4 a dosi soppressive in soggetti eutiroidei determina un declino della disseminazione autoantigenica dai tireociti, con conseguente riduzione del titolo anticorpale.6 Lo studio di Nacamulli et al.10 ha evidenziato come dosi fisiologiche di selenio (80 μg/die di sodio-selenite), in assenza di terapia ormonale sostitutiva, siano in grado di ridurre il titolo di TPO-Ab e Tg-Ab, ma dopo un tempo di latenza di 6-12 mesi, e come questo effetto sia del tutto evidente dopo 12 mesi di trattamento con selenio. Al contrario, nel gruppo di controllo non è stata osservata alcuna differenza riguardo ai livelli di TPO-Ab durante il periodo di follow-up. Nacamulli, inoltre, è stato il primo autore ad avere utilizzato un metodo quantitativo (l'analisi istografica automatica dei pixel della scala dei grigi) per valutare l'effetto del selenio sull'ecogenicità della tiroide che riflette i cambianti strutturali della ghiandola. Dalla letteratura si evince che vi è una correlazione diretta fra il titolo anticorpale dei TPO-Ab e l'intensità del pattern ipoecogeno della tiroide.11,12 In questo recente studio italiano, una riduzione dell'ecogenicità della tiroide è stata riscontrata dopo sei mesi sia nel gruppo che aveva assunto selenio sia nel gruppo di controllo. Tuttavia, nei soggetti trattati con selenio dopo 12 mesi di terapia il quadro ecografico era rimasto invariato, mentre nel gruppo di controllo era ulteriormente peggiorato.10 Già Gärtner nel suo trial aveva osservato un miglioramento dell'ecogenicità della tiroide unitamente a una riduzione del titolo dei TPO-Ab nel 25% dei pazienti dopo tre mesi di terapia con selenio. In quello studio, però, non era stato utilizzato un metodo quantitativo per la misura dell'ecogenicità della ghiandola né era stato determinato il tempo dall'inizio del trattamento con selenio necessario per ottenere un miglioramento della struttura tiroidea. Questi risultati sono in accordo con quanto è emerso dallo studio condotto da Derumeaux et al.,13 che ha evidenziato una correlazione inversa tra concentrazione sierica del selenio da una parte e volume tiroideo e ipoecogenicità tipica della AIT dall'altra. Il selenio quindi ha una funzione anti-gozzigena e assume un ruolo chiave nel preservare la normale morfologia tiroidea e nella prevenzione dell'insorgenza di tiroidite autoimmune.

Dalla letteratura emerge che gli enzimi selenio-dipendenti hanno anche effetti immunomodulatori. Nello studio di Karanikas et al.,9 la determinazione del pattern di citochine nei linfociti CD4 e CD8 del sangue periferico mediante citometria a flusso prima e dopo tre mesi di terapia con selenio e fra il gruppo trattato con selenio e il gruppo placebo non ha fatto registrare significative differenze nella varietà di citochine prodotte dai linfociti T. Questo risultato contrasta con quanto emerso da un recente studio clinico randomizzato in cui la somministrazione di selenio in forma di SeMe (200 μg/die) e/o L-T4 per sei mesi a donne polacche con AIT in fase iniziale, eutiroidee ha prodotto un effetto antinfiammatorio sistemico. Questo studio, inoltre, ha mostrato come la terapia ormonale sostitutiva e la SeMe esplichino il loro effetto antiflogistico agendo su due effettori diversi dell'immunità: la L-T4 sopprime principalmente la funzione monocitaria, mentre il selenio riduce soprattutto il rilascio di citochine da parte dei linfociti.14 Quest'ultimo dato è in accordo con quanto emerso da esperimenti in vitro condotti da Kim e Stadtman,15 che hanno dimostrato come il selenio abbia un effetto immunomodulatore attraverso la riduzione dell'espressione del fattore NF-kB, con conseguente limitazione della produzione dei mediatori della fase acuta del processo flogistico, come il TNFalfa, l'IL-2 e il recettore dell'IL-2, e dell'estensione della risposta infiammatoria. L'effetto antinfiammatorio del selenio e della L-T4 è risultato maggiore nei soggetti trattati contemporaneamente con entrambe le terapie e a esso è corrisposta una riduzione della concentrazione sierica dei TPO-Ab. Secondo l'autore, la discrepanza con lo studio precedente di Karanikas potrebbe dipendere dalle differenze relative allo stadio dell'AIT al momento dell'arruolamento e/o dai differenti livelli di selenemia iniziali.14

Per quanto riguarda l'effetto della supplementazione di selenio sul TSH, solo nel trial clinico di Nacamulli et al. tutti i pazienti selezionati non erano trattati con terapia ormonale sostitutiva. In questo studio non è stata rilevata, dopo 12 mesi di supplementazione di selenio a dosi fisiologiche, una normalizzazione dei livelli di TSH (elevati al momento del reclutamento), ma nessuno dei pazienti con TSH nel range di normalità all'inizio dello studio ha sviluppato un significativo aumento del TSH durante il periodo di follow-up.10 Ciò suggerisce che la supplementazione di dosi fisiologiche di selenio può prevenire il peggioramento della funzione della ghiandola nella tiroidite autoimmune, ma il miglioramento potrebbe richiedere un più lungo periodo di trattamento.
Il selenio esplica un importante ruolo nell'omeostasi della ghiandola tiroidea anche durante la gravidanza. Donne con positività dei TPO-Ab ed eutiroidee hanno un aumentato rischio di tiroidite post partum e ipotiroidismo.16 Esiste inoltre una forte associazione fra tiroidite autoimmune e aborto. È stato osservato come donne con storia di aborto ricorrente presentassero una più bassa concentrazione di selenio nei capelli rispetto ai controlli17 e come i livelli di selenemia si riducessero al terzo trimestre di gestazione e dopo il parto ritornassero ai valori del periodo pre-gravidico.16 In uno studio prospettico randomizzato condotto in Italia, la supplementazione di 200 μg/die di SeMe a 77 donne eutiroidee con positività dei TPO-Ab, durante e dopo la gravidanza, si è associata a una riduzione dell'incidenza di tiroidite post partum e di ipotiroidismo rispetto a 74 donne eutiroidee con positività dei TPO-Ab trattate con placebo. Inoltre, nel gruppo di donne gravide trattate con selenio alla fine del periodo post partum si è assistito a una riduzione significativa del titolo dei TPO-Ab ed è stato osservato un miglioramento del quadro ecografico della tiroide agli ultrasuoni rispetto al gruppo trattato con placebo.16

Alcuni studi suggeriscono un effetto benefico della supplementazione di selenio anche nel morbo di Graves,18-20 tireopatia in cui l'entità del danno cellulare è strettamente correlata al grado di stress ossidativo. Nel morbo di Graves uno dei principali effetti dell'aumento della concentrazione degli ormoni tiroidei è l'aumentata velocità del metabolismo basale, che si accompagna a un incremento del consumo totale di ossigeno e quindi a una maggiore formazione delle specie reattive dell'ossigeno (ROS) e di altri radicali liberi. Uno studio di Vrca et al.18 condotto in Croazia, Paese che presenta uno dei più bassi introiti di selenio con la dieta di tutta l'Europa, ha evidenziato come la supplementazione di antiossidanti (vitamina C ed E, beta-carotene oltre che selenio alla dose di 60 μg/die) in associazione a metimazolo in soggetti con nuova diagnosi di morbo di Graves si associasse a un più rapido raggiungimento dell'eutiroidismo rispetto ai pazienti trattati con solo metimazolo. La selenemia nel gruppo dei pazienti che avevano assunto antiossidanti e metimazolo è aumentata significativamente nel corso del trattamento e nello stesso gruppo è stato riscontrato un aumento significativo dell'attività della GPx dopo 30 giorni di trattamento. Di contro, nel gruppo di soggetti trattati con solo metimazolo non sono state osservate differenze significative dei livelli sierici di selenio durante il periodo di follow-up. Lo studio suggerisce come il selenio abbia un'importanza centrale, tra i vari antiossidanti, sulla funzione tiroidea e come la sua supplementazione potrebbe trovare indicazione nel morbo di Graves in circostanze di moderata seleniopenia. Il selenio, infatti, come componente degli enzimi selenio-dipendenti, interviene sia nel metabolismo degli ormoni tiroidei sia nella difesa dell'organismo dal danno ossidativo. Un successivo studio dello stesso autore ha confermato che la supplementazione di antiossidanti (tra cui il selenio) nel morbo di Graves in associazione a metimazolo permette di raggiungere l'eutiroidismo più rapidamente rispetto alla terapia con sola tionamide.19
Circa la metà dei pazienti affetti da morbo di Graves presenta coinvolgimento oculare. I radicali liberi e le citochine assumono un ruolo patogenetico chiave anche in tale condizione. Un recente studio multicentrico condotto su 159 soggetti affetti da una forma lieve di oculopatia di Graves e provenienti da regioni dell'Europa lievemente seleniopeniche ha mostrato come la somministrazione di selenio in forma di selenio selenito, 100 μg due volte al giorno per 6 mesi, abbia determinato un miglioramento della qualità di vita, ridotto il coinvolgimento oculare della malattia e rallentato la progressione dell'oculopatia rispetto alla pentofillina, un inibitore della fosfodiesterasi con effetti immunomodulatori e antinfiammatori, e al placebo. Tale effetto benefico del selenio è stato mantenuto anche a distanza di sei mesi dalla sospensione della supplementazione.20


  • Nell'ultimo decennio numerosi studi clinici hanno suggerito come il selenio possa avere un ruolo chiave nel mantenere il bilancio ossidativo della cellula tiroidea e nel migliorare le capacità di difesa della ghiandola anche nelle condizioni di stress ossidativo che si verificano nelle tireopatie autoimmuni (AIT).
  • Tali studi sono stati condotti principalmente in alcune regioni europee caratterizzate da un lieve deficit del contenuto di selenio nel suolo.
  • Dagli studi iniziali di Gärtner, Duntas, Turker e Mazokopakis sembrerebbe che la riduzione del titolo dei TPO-Ab a breve termine richieda dosi di selenio superiori a 100 μg/die e che l'interruzione della terapia con selenio si accompagni a un rebound del titolo anticorpale.
  • La riduzione dei TPO-Ab nei soggetti con AIT trattati con selenio è tanto più marcata quanto più l'AIT è severa in termini di titolo anticorpale iniziale.
  • Nello studio di Nacamulli, dosi fisiologiche di selenio (80 μg/die di sodio-selenite) in pazienti con AIT in fase iniziale non in terapia ormonale sostitutiva, sono state in grado di ridurre il titolo di TPO-Ab e Tg-Ab, ma dopo un tempo di latenza di 6-12 mesi. Inoltre nei soggetti trattati con selenio dopo 12 mesi di terapia il quadro ecografico è rimasto invariato, mentre nel gruppo di controllo è peggiorato. Da questo studio inoltre si evince che la supplementazione di dosi fisiologiche di selenio può prevenire il peggioramento della funzione della ghiandola nella tiroidite autoimmune, ma il miglioramento potrebbe richiedere un più lungo periodo di trattamento.
  • In un recente studio clinico randomizzato la somministrazione di selenio in forma di SeMe (200 μg/die) e/o L-T4 per 6 mesi a donne polacche con AIT in fase iniziale, eutiroidee ha prodotto un effetto antinfiammatorio sistemico.
  • In uno studio prospettico randomizzato condotto in Italia, la supplementazione di 200 μg/die di SeMe a donne eutiroidee con positività dei TPO-Ab, durante e dopo la gravidanza, si è associata a una riduzione dell'incidenza di tiroidite post partum e di ipotiroidismo.
  • Studi evidenziano come la supplementazione di antiossidanti (tra cui selenio) in associazione a metimazolo in soggetti con nuova diagnosi di morbo di Graves si associ a un più rapido raggiungimento dell'eutiroidismo.
  • Un recente studio multicentrico condotto su soggetti affetti da una forma lieve di oculopatia di Graves e provenienti da regioni dell'Europa lievemente seleniopeniche ha mostrato come la somministrazione di selenio in forma di selenio selenito, 100 μg due volte al giorno per 6 mesi, abbia determinato un miglioramento della qualità di vita, ridotto il coinvolgimento oculare della malattia e rallentato la progressione dell'oculopatia.

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